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domenica 31 agosto 2008

Ho visto uomini volare…


Dopo tanto tempo non ho ancora parlato del Raduno nazionale di Parkour tenutosi a Roma. Dove il Parkour si è messo la cravatta e l’Università l’ha tolta.
È stata un’esperienza magnifica. Due giorni intensi, importantissimi sia dal punto di vista fisico che da quello mentale. Con noi, oltre ai numerosi e bravi tutor (ragazzi che si sono messi a disposizione per far funzionare questo raduno e insegnare la disciplina), c’erano Sebastien Foucan, Daniel Ilabaca e Oleg Vorslav. Indimenticabile. Pensare che hanno mangiato insieme a noi, che Foucan e Ilabaca ci hanno presentato tecniche e filosofia (Oleg era infortunato e si è tenuto molto in disparte).
Più volte ci hanno parlato con passione cercando di spiegarci, prima che i movimenti, l’aspetto mentale del parkour, frerunning o come lo si vuole chiamare (il nome – dicono – non conta). L’arte e la gioia dello spostamento. Come una danza. In ogni momento ci si allena, bisogna vivere il parkour, non relegarlo a qualche ora della giornata, ma viverlo continuamente, con la testa e il corpo. Ilabaca mi ha particolarmente stupito, è stato affascinante e interessante sentire le sue motivazioni, sempre pronto a spiegare e parlarci come un amico. Pienamente cosciente e convinto di ciò che fa. Di fronte a delle semplici scale ci ha detto: fate quello che volete, su queste scale potete fare un milione di cose diverse, create. Dal canto suo Foucan, nonostante sia nello spirito (giocoso e gioioso) un bambinone, non è stato da meno. Entrambi, soprattutto Daniel, tenevano molto ad una cosa: non bisogna imitare gli altri, non si deve emulare ma far nascere la disciplina da noi stessi, dai nostri limiti e le nostre capacità, e scoprirla grazie alla costanza nel praticarla. In effetti, la diffusione massiccia di video porta sempre più persone a praticare senza coscienza il parkour, esibendosi in salti oltre le proprie possibilità o comunque con il solo scopo di mostrarsi e di fare “il salto più alto”. Non è così, il parkour deve essere qualcosa di più profondo. Non so quante delle persone che lo pratichino siano davvero convinti di ciò che c’è dietro. Si dicono tante belle parole, ma poi vedo traceur che inquinano invece di pulire lo spot, o che sono semplicemente troppo infantili per seguire una filosofia basata sul rispetto. Probabilmente, da alcuni punti di vista, io non sono un “tipo da parkour”, ma è sbagliato credere che un tale individuo esemplare (che possa essere definito così) esista davvero. Forse lego al parkour valori che non sono strettamente connessi ad esso. Allora, forse, io seguo la mia via del parkour.
Rispetto per gli altri, per il proprio corpo e per l’ambiente.
Meditazione.
Crescita interiore.
Arte del movimento.
Contro l’antagonismo.

Tornando al raduno, uno dei momenti più belli è stato quando ci siamo tolti tutti le scarpe (compresi Ilabaca e Seb) per allenarci sui salti e i movimenti silenziosi (si sa, no sound, no shock), e forse per ritrovare anche un maggiore contatto con il mondo e il proprio corpo.

Per ulteriori info e per una galleria di immagini il sito di chi ha organizzato tutto questo: Parkour.it

P.s.
Ho imparato una cosa che sembra stupida, ma risultautilissima in allenamento. Far finta di essere sull’orlo di un burrone, cosicché si metta il massimo impegno nel non cadere.

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