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lunedì 25 maggio 2009

Non-Parkour

Capita spesso di concentrarsi così tanto su qualcosa che piace da non rendersi conto di tutto il resto o cercare di inserire quella cosa in tutto, casomai come soluzione ai nostri problemi. Questo può succedere anche col Parkour. Si può costruire una filosofia infinita sul PK, attingere alle discipline orientali, alle riflessioni più acute relative a quasi tutti i campi dello scibile umano, ma una cosa dobbiamo sempre ricordarla: prima di tutto ci siamo Noi. Con i nostri problemi personali, il nostro carattere, la nostra mente. E prima di tutto dobbiamo confrontarci da soli con noi stessi. Senza passare per il PK, lo Yoga o che altro; solo dialogando con noi stessi, e trovando la forza di aprirci a noi (perché ci conosciamo meno di quanto possiamo pensare).
Dobbiamo crescere, cercare sempre di migliorarci. E tutto questo sul nostro percorso, quello che noi progettiamo e costruiamo (sempre aperti all’ascolto dei consigli che ci vengono dati). Così anche questa lezione di Non-Parkour, può riassumersi in una massima molto da traceur, scoprendo che il PK, inteso nella sua dimensione più astratta e filosofica, più che una vera disciplina è proprio una non-disciplina che insegna a crearsi un proprio guscio di indipendenza e forza, un proprio veicolo sul quale avanzare: le proprie gambe, le proprie braccia, la propria testa. Il Parkour insegna che non bisogna farsi sedurre e alienare nemmeno dal Parkour stesso.

La massima è questa, una lieve variazione su quella più comune (follow the flow):
Follow your flow


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