Pagine

venerdì 9 aprile 2010

Joseph William Kittinger



Stavo guardando questo video sul tubo, e sebbene tutte le imprese mostrate lascino a bocca aperta (nota 1: lo skydiving della penultima scena deve essere una cosa meravigliosa! nota 2: quel coglione che si è lanciato senza paracadute ha lasciato andare la RedBull, io mi chiedo in testa a chi sia finita con la velocità che può aver preso!) l’ultima mi ha davvero fatto sbarrare gli occhi. Chissà perché l’uomo ha bisogno o ha la voglia di sfidare così tanto le leggi della fisica, di liberarsi dalle catene del possibile. Un po’ lo si fa anche col Parkour, certo non ai miei livelli, però se si pensa a un Daniel Ilabaca o un Damien Walters (due presi a caso :-P)…

Comunque sia, ti lascio qualche informazione sul capitano Kittinger, quello nella prima posizione del video. In questo articolo, preso da QUI, si parla del terzo salto nonché il più alto che abbia mai fatto.


Il Colonnello Joseph Kittinger. È stato colui che ha superato la velocità del suono senza alcun veicolo di sorta, ma in caduta libera, lanciandosi da 31,333 metri di altezza e atterrando con un paracadute.
Sembra assurdo ma è tutto vero. Avevo letto di questa impresa, compiuta nell’ambito del Progetto Excelsior, che mirò a comprendere gli effetti dell’altitudine sul corpo umano e la possibilità di rientrare autonomamente da altezze stratosferiche, tra le altre cose.
L’altitudine di crociera di un moderno jet commerciale si aggira attorno ai 10.000 metri; Joe Kittinger si lanciò da 30.000. Kittinger era un pilota di ampissima esperienza, supportato da un dipartimento dell’aeronautica militare, ma più di ogni altro aveva qualcosa di unico: una straordinaria passione per le imprese impossibili. Un giorno di sole del 1960, coperto solo da poche nuvole distanti, l’allora capitano Joe Kittinger, munito solamente di una tuta da astronauta, di un paracadute e di una telecamera fissata al casco, oltre agli ovvi strumenti di volo, salì a bordo di un pallone ad elio dal caratteristico colore argentato (quasi identico a quelli meteorologici) e non fece altro che attendere e controllare la situazione.

In verità non era affatto una buona giornata, in quanto se le nuvole si fossero addensate, si sarebbero perse le comunicazioni radio con la terra, ma egli volle salire lo stesso. Una mongolfiera è sostenuta in volo dall’aria calda che essa stessa brucia, e l’altitudine può essere decisa a piacimento del pilota; un pallone ad elio viene spinto in alto da un gas più leggero dell’aria stessa, e quindi è un mezzo che va in una sola direzione… A questo si aggiunse il bollettino meteo, che arrivato troppo tardi per poter abortire la missione annunciò che la radio oltre un certo punto si sarebbe spenta. Dopo molti minuti di ascesa in condizioni di temperatura drasticamente bassa ed ossigeno sempre più carente, il nostro impavido aviatore dovette fronteggiare due inconvenienti: il pallone che acquistava troppa velocità e perdeva il controllo e una malfunzione del guanto destro, che gli procurava insistente dolore.

Per il primo la soluzione era semplice, ed era una cosa che aveva fatto già molte volte: bastò svuotare il pallone (che aveva raggiunto volume 5 o 6 volte maggiore di quello alla partenza, a causa della pressione calante) di un po’ del suo elio gassoso per ridurre la sua inesorabile accelerazione ad un ritmo prestabilito. Per il secondo guaio c’era solo da sperare che la tuta sopportasse la pressione fino al suo ritorno a terra, altrimenti in breve tempo il suo corpo sarebbe esploso poiché estremamente più denso dell’ambiente circostante, e il nostro eroe avrebbe incontrato morte certa. Raggiunta una altitudine di 31 chilometri e 444 metri, quando ormai la mano sotto il guanto guasto aveva assunto un volume due volte maggiore al normale, Joe Kittinger aveva solo due prospettive: saltare o continuare a salire col pallone fino a venire disperso nell’atmosfera superiore... Saltò. Da quell’altitudine poteva vedere la terra azzurra e meravigliosa, ricoperta da una fitta coltre di nubi bianche come la panna.

Come già Einstein aveva previsto, quasi per gioco, quell’uomo non ebbe assolutamente sensazione di cadere. L’aria, rarefatta fino all’inverosimile, non offriva una resistenza percettibile, e quindi egli si trovò in un sogno gelato, levitando come gli angeli e i fantasmi, sospeso nel nero dello spazio profondo. Tale era l’inganno che dovette girarsi a guardare il suo pallone, che velocemente scompariva, per capacitarsi del suo moto ad assurda velocità. Senza perdere la calma, contati una manciata di secondi, secondo gli studi teorici fatti a terra, aprì il paracadute di stabilizzazione, totalmente simile al pilotino di un paracadute convenzionale, il quale lo portò in posizione eretta e ne rallentò, seppur di poco, la caduta. Kittinger cadde e cadde, sempre più cosciente che stava accelerando come un aereo a reazione, e ad un certo punto fu invaso da un frastuono assordante: aveva sfondato con gli stivali il muro del suono e continuava ad accelerare. Ciononostante, l’esperto pilota dovette mantenere salde calma e concentrazione fino alla fine, perché se in quegli attimi di caos totale avesse aperto il paracadute principale, l’alta velocità l’avrebbe spezzato, assieme alla sua unica speranza di salvezza.

Sotto la soglia dei cinquemila metri, oramai ridisceso sotto il limite del suono, la caduta si stabilizzò ad un punto in cui resistenza dell’aria e gravità erano quasi perfettamente bilanciati, e fu quello il momento di tirare con forza la maniglia di rilascio del paracadute. Un forte scossone e finalmente la sua corsa si rallentò in modo sensibile; qualche secondo di attesa e finalmente i suoi piedi toccarono terra dopo 4 minuti e 36 secondi di caduta. Non ci furono parate e cortei per l’uomo che aveva saltato dalla stratosfera, ma Kittinger in cuor suo sapeva bene di aver compiuto un’impresa unica, che nessuno fino a questo momento ha avuto l’ardore di ripetere.

Nessun commento:

Ultimi commenti